Tutto quello che dobbiamo sapere sull'osteoporosi (quando la MOC, quando la terapia, etc)


L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da riduzione della massa ossea che si accompagna ad aumento del rischio di frattura.

Tra i fattori di rischio per l’osteoporosi ricordiamo: menopausa precoce (<45 anni), trattamento cortisonico prolungato (dosi maggiori o uguali a 5mg di prednisone oltre 3 mesi), familiarità per frattura di femore, basso peso corporeo, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcoolici, immobilizzazione protratta, ridotto apporto di calcio con la dieta, etc

La più conosciuta è la forma primitiva (postmenopausale e senile) ma esistono forme secondarie a diverse condizioni cliniche sottostanti. Tra queste ricordiamo malattie endocrine (ipogonadismo - ipercortisolismo - iperparatiroidismo , etc), malattie ematologiche (mieloma multiplo, talassemie, etc), malattie da malassorbimento (celiachia, malattie infiammatorie intestinale, insufficienza pancreatica, etc), malattie reumatologiche (artrite reumatoide artrite psoriasica, etc) , malattie renali (ipercalciuria idiopatica, acidosi tubulare renale, insufficienza renale cronica, etc), malattie metaboliche (rachitismo, osteogenesi imperfetta, ipofosfatasia), uso di farmaci oltre ai cortisonici (es. ciclosporina, anticoagulanti, anticonvulsivanti, agonisti e/o antagonisti del GnRH, etc). 

Per l’OMS la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione DXA della densità minerale (cosiddetta MOC), raffrontata a quella media di soggetti adulti sani dello stesso sesso. L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale con valori < -2.5 SD che, secondo l’OMS, rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Lo Z-score è un confronto tra la BMD del paziente e quella di una popolazione della stessa età. Uno Z-score pari o inferiore a -2 è considerato al di sotto dell'intervallo previsto per l'età. 
La densitometria ossea rappresenta, quindi, il test diagnostico di osteoporosi e di rischio di frattura. 
La densitometria vertebrale lombare è spesso poco accurata dopo i 65 anni per l’interferenza di manifestazioni artrosiche, calcificazioni o fratture vertebrali. Per queste ragioni la MOC femorale viene ad essere preferibile dopo questa età. Le valutazioni densitometriche a radio, calcagno sono utilizzati in peculiari setting endocrinologici. L’ultrasonografia QUS sul calcagno è in grado di predire il rischio di fratture osteoporotiche anche maggiori ma i parametri QUS sono predittori indipendenti del rischio di frattura. Per questa ragione la QUS non può essere utilizzata per la diagnosi di osteoporosi secondo i criteri OMS (T-score < -2.5).

Oltre che per la diagnosi la densitometria ossea è utilizzata anche per il monitoraggio della terapia dell’osteoporosi insieme a dei marker biochimici di riassorbimento (CTX) e neoapposizione (fosfatasi alcalina). Dosaggio di vitamina D, calcio e paratormone sono complementari alla valutazione.

Sebbene sia ragionevole fare uno screening basale dell’osteoporosi a tutte le donne che entrano in menopausa, la densitometria ossea (MOC) è prescrivibile con SSN solo in presenza di criteri specificati nei LEA (https://www.pnrr.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1171_allegato.pdf), tendenzialmente alle donne sopra i 65 anni con fattori di rischio o se presenti alcuni condizioni patologiche peculiari. Agli uomini generalmente non è raccomandato lo screening a meno che di evidenzia di osteoporosi radiografica o presenza di specifiche patologie predisponenti. Il monitoraggio dell’osteoporosi dipende dalla massa ossea (BMD) basale e dai fattori di rischio clinici.
●Per le donne con un T-score da -2,0 a -2,4 in qualsiasi sede o con fattori di rischio è raccomandabile ogni 18-24 mesi.
●Per le donne di età ≥65 anni con un T-score da -1,5 a -1,9 in qualsiasi sede e senza fattori di rischio, ogni tre-cinque anni.
●Per le donne di età ≥65 anni con T-score da -1,0 a -1,4 in qualsiasi sede senza fattori di rischio, dopo 5-10 anni.

Abbiamo già parlato dell’importanza della supplementazione della vitamina D nei pazienti affetti da osteoporosi, ma va ricordato che la vitamina D non è la terapia farmacologica dell’osteoporosi. Essa rappresenta piuttosto la materia prima necessaria per il buon funzionamento dei farmaci specifici.

Le indicazioni alla farmacoterapia specifica dell’osteoporosi sono le seguenti:
● Donne in postmenopausa con T-score ≤-2,5 o con fratture da fragilità.
●Donne in postmenopausa con T-score compreso tra -1,0 e -2,5 e alto rischio di frattura calcolato mediante il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), ovvero con una probabilità a 10 anni di frattura dell'anca o di frattura osteoporotica maggiore pari rispettivamente a ≥3,0 o ≥20% (https://frax.shef.ac.uk/FRAX/tool.aspx?country=9)

La terapia specifica dell’osteoporosi comprende i farmaci antiriassorbitivi (bifosfonati, denosumab) e i farmaci anabolici (teriparatide, abaloparatide, romosozumab). 

I bifosfonati sono stati i primi farmaci a uscire negli anni 90; quelli orali devono essere assunti da soli a stomaco vuoto al mattino con almeno 250 ml di acqua. Dopo la somministrazione, il paziente non deve assumere cibo, bevande, farmaci e devo rimanere in posizione eretta (seduto o in piedi) per almeno 30 minuti. Il motivo è quello di ridurre al minimo il rischio di esofagite. Controindicazioni sono l’insufficienza renale. Comprendono alendronato (70mg/sett) e risedronato (35mg/sett o 75mg 2 giorni consecutivi al mese), ibandronato (150mg/mese). Per quest’ultimo ci sono meno evidenze come beneficio sul femore.
Il rischio di osteonecrosi mandibolare è molto basso per le dosi di bifosfonati abitualmente usate nel trattamento dell’osteoporosi. Nella maggior parte dei casi non è necessaria una sospensione ma solo una diluizione delle dosi in caso di procedure odontoiatriche invasive (impianti, estrazioni, trapianti ossei). La finestra terapeutica di questi farmaci è di circa 3-5 anni. Ha senso usarli in prima battuta nell’osteoporosi a medio rischio e in seconda battuta dopo i farmaci anabolici. Secondo la nota AIFA 79 è mutuabile in prevenzione secondaria se pregressa frattura vertebrale o femore oppure in prevenzione primaria se fattori di rischio (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1728074/nota-79.pdf).

Il denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di neutralizzare il RANKL, una citochina stimolante gli osteoclasti. Viene somministrato al dosaggio di 60mg ogni 6 mesi per via sottocutanea (richiede piano terapeutico specialistico). Finestra terapeutica fino 3 anni. E’ più efficace dei bifosfonati soprattutto a livello corticale (femore). Viene spesso utilizzato in seconda battuta dopo i bifosfonati o se controindicazioni ad essi (es. insuff renale cronica, esofagite). E’ usato molto anche in ambito oncologico (metastasi ossee). Non deve precedere l’uso di anabolici (teriparatide, romozolumab) ma piuttosto seguire per evitare danni sulla massa ossea. La nota AIFA 79 governa la rimborsabilità SSN. Il rischio di osteonecrosi mandibolare non è elevato. In caso di procedure odontoiatriche basta programmarle alla fine dei sei mesi e posticipare di un mese la nuova assunzione.

Teriparatide è un farmaco anabolico (analogo del PTH) con importante effetto antifratturativo. Analogamente aboloparatide (agisce meglio a livello corticale sul femore). La finestra terapeutica è 3 anni. Il miglior effetto lo si vede se utilizzati in prima battuta e non in seconda battuta dopo i bifosfonati (sconsigliato). Non deve essere preceduto da denosumab, semmai seguito. Può essere associato a denosumab come terapia di associazione (doppio piano terapeutico). Visti costi hanno indicazione nell’osteoporosi ad alto rischio fratturativo (T-score ≤-3,5 con fratture da fragilità, T-score ≤-4,0, recente frattura osteoporotica maggiore o fratture multiple recenti). Mai confermato nell’uomo il potenziale rischio di osteosarcoma. Possibili effetti collaterali sono palpitazioni e crampi.

Romosozumab è un anticorpo monoclonale contro la sclerostina, un bilanciatore naturale del rimodelling osseo. E’ un anabolico molto potente nel ridurre soprattutto le fratture (soprattutto le vertebrali). La finestra terapeutica è un anno. Anc’esso ha piano terapeutico. Può essere usato in prima linea in pazienti con osteoporosi ad alto rischio fratturativo (vd nota 79) o in seconda battuta dopo farmaci antiriassorbitivi ma in combinazione con essi (denosumab) Non deve essere preceduto da denosumab da solo, semmai seguito. E’ sconsigliato in caso di eventi cardiovascolari maggiori sebbene non sia mai stato dimostrato un impatto negativo in tal senso.

Le possibilità terapeutiche ad oggi comprendono quindi sequenze farmacologiche che hanno l'obiettivo di mantenimento della massa ossea oltre le finestre temporali dei singoli farmaci, riduzione del rischio di rebound e minimizzazione degli effetti collaterali. Come detto non tutte le sequenze sono favorevoli (es. denosumab --> teriparatide è dannosa). Altra possibilità è la terapia di combinazione farmacologica tra anabolici e antiriassorbitivi in casi molto selezionati. Vista la possibilità di redigere un solo piano terapeutico urge un aggiornamento della nota 79 per garantire in SSN cure ottimali anche a questi casi specifici. L'impegno invece richiesto ai pazienti è quello di comprendere che la limitatezza delle risorse non consente di effettuare gratuitamente densitometrie ossee indistintamente come screening in assenza di fattori di rischio e analogamente per la dispensazione delle terapie integrative di primo livello (vitamina D, bifosfonati) nei casi di basso rischio. Analogamente il ricontrollo seriato dei livelli di vitamina D nel follow-up non è quasi mai giustificato a meno di cambio di condizioni cliniche o terapeutiche sostanziali. 

Spero di avervi delucidato in merito,

Dott M. Cringoli




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